domenica 25 maggio 2008

Khorakhané


I barbari sono al governo, ma in fondo non sono che la proiezione dell’imbarbarimento della società, imbarbarimento che traspare soprattutto dall’atteggiamento (ahimé, ora tradotto in comportamento) nei confronti degli immigrati, atteggiamento bestiale e ignorante, inevitabile conseguenza della xenofobia che alberga nella maggioranza (non in senso strettamente politico), in tutte le maggioranze, intese come un tutt’uno, una massa autocompiaciuta della codificazione della propria identità omologata e omologante, che con quella stessa sottile forma di autocompiacimento, ama innalzare muri (non più oggi solo metaforici) con l’«altro», il diverso, che è poi la vera maggioranza umana, sfruttata, emarginata, dannata, offesa da una minoranza di “signori”, di potenti idioti, che si considerano “maggioranza”, quella maggioranza che ha issato la propria ignoranza a cultura e che dà il peggio di sé quando diventa potere, potere talmente insicuro e fragile, talmente odiato dalla vera maggioranza di cui parlavo sopra, che si militarizza sempre di più, che si blinda con i suoi eserciti.
Il video che ho messo su è su una delle tante minoranze che nei secoli ha subito l’oltraggio, l’insulto, lo sputo, la menzogna e la vessazione delle maggioranze, dovunque si è spostata, e cioè gli zingari, che “per la stessa ragione del viaggio”, viaggiano...; lo sfondo musicale è la canzone che Fabrizio De André ha dedicato a loro, soprattutto ai Rom, “Kkorakhané” che in lingua romanesh significa “a forza di essere vento”, in cui Faber riesce a tratteggiare, alla faccia dei tanti luoghi comuni su di loro, gli aspetti più veri della loro cultura, dal loro “essere vento” (il nomadismo), al loro “caritare”, fino a spendere infantilmente tutto il poco racimolato in canti e baldoria...
Non voglio dilungarmi oltre e voglio chiudere questo post con l’invito a vedere il video col cuore e con le parole di Bertold Brecht...

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.

(Bertold Brecht - Berlino, 1932)

sabato 17 maggio 2008

Untori per ogni epoca

Le conseguenze del caso Travaglio-Schifani sono la testimonianza della famigerata abitudine a sfrugugliare nella vita privata del giornalista scomodo, quello che ha il coraggio di dare notizie, di dire la verità anche se questa potrebbe destare scandalo (scandalosa è in genere la verità...); si cerca di trovare morbosamente un neo nella sua vita per gettare fango gratuitamente sulla sua persona e quando non ci si riesce, come nel caso di Marco, si issa il “sentito dire” a notizia, fingendo di dissociarsene.

Ricorda un po’ la storia del (a mio parere) più grande intellettuale italiano, Pier Paolo Pasolini, che con lucidità straordinaria analizzava le pieghe della società borghese e in genere di quella occidentale, paventando profeticamente quello che sarebbe diventato il destino dell’uomo moderno e il ruolo prepotente che avrebbe giocato nella sua esistenza la “banalissima televisione”, il medium di massa. Pasolini non poteva essere amato dalla destra (essendo un convinto antifascista) ma era visto con imbarazzo dalla sinistra (la parte a cui era più vicino, essendo un marxista)... Quando (spesso) non si aveva argomenti per confutare i suoi ragionamenti, ci si affrettava a ricorrere al gossip, alla sua omosessualità, a vivisezionare la sua vita privata.
Non voglio paragonare Travaglio a Pasolini, ma l’accanimento mediatico e trasversale sulla sua persona, ne fa combaciare molti elementi.


P.S. Mi unisco all’appello di Daniele Martinelli, invitando i frequentatori del mio blog a inviare la seguente mail al Presidente del Senato, Renato Schifani, firmata a proprio nome e cognome, al seguente indirizzo:

schifani_r@posta.senato.it

Al Presidente del Senato Renato Schifani

Il sottoscritto cittadino elettore Le chiede se corrisponda a verità quanto affermato da Marco Travaglio nel libro: “Se li conosci li eviti” e cioè:

1) che Lei sia o sia stato socio della Società Siculabrokers unitamente a Nino Mandalà e Benny D’Agostino

2) che Lei sia stato Consulente del Comune di Villabate come esperto del Sindaco in materia Urbanistica.

Qualora lo ritenga utile od opportuno, potrà aggiungere sue eventuali valutazioni.

In assenza di Sua risposta entro 10 giorni da oggi, riterrò il suo silenzio come conferma dei fatti soprariportati e trarrò le mie valutazioni

Distinti saluti

Bonifacio Liris

mercoledì 14 maggio 2008

lunedì 12 maggio 2008

Bavaglio al Travaglio


Solo chi è al di fuori della massa informe anestetizzata dai media può rendersi conto di una consuetudine issata a regola dell’informazione:“In televisione va mandato in onda tutto, fuorché la verità!”, regola che fortunatamente conosce i suoi trasgressori, fra cui il giornalista Marco Travaglio, che non accetta questa norma e non perde occasione di scuotere il tubo catodico con semplici cronache di fatti, abilmente condite da una vena teatrale, in linea col tragicomico che racconta.

Per aver semplicemente ricordato, durante la trasmissione “Che tempo che fa” di Fabio Fazio, del 10 maggio, il passato del Presidente del Senato della Repubblica Italiana (!), Renato Schifani, un passato non propriamente ineccepibile, data la sua frequentazione di boss mafiosi del calibro di Nino Mandalà, (insieme col suo collega di partito, Enrico La Loggia) soci insieme in una società siciliana di brokeraggio, ecc...fatti documentati da Lirio Abbate e Gomez nel libro “I complici”, è stato trasversalmente accusato di diffamazione, dimostrando l’analfabetismo di chi non conosce il significato di tale parola; per l’ennesima volta la casta si è richiusa a riccio a difendere un suo appartenente, con l’unica eccezione del “giovanni battista” del parlamento, Antonio Di Pietro e del buon Giulietti, dello stesso partito.

L’informazione televisiva (e non) ha come sempre giocato il suo ruolo di serva della casta, sbattendo in faccia alla massa abboccante di cui sopra, le dichiarazioni di scandalo e di disappunto di questo o quel politico, inoculando indignazione non per il fatto che una persona del genere ricopra la seconda carica delle istituzioni (fra l’altro, Schifani è uno che dopo la condanna di Cuffaro a cinque anni per favoreggiamento ebbe a dichiarare «Oggi Cuffaro ha ripreso saldamente in mano il timone di una Sicilia che già è cresciuta così come i dati sul Pil e sulla disoccupazione ai minimi storici ci indicano. Dobbiamo anche riconoscere al governatore siciliano che è stato e continua ad essere l’unico garante della unità della coalizione, risultato questo che, in un sistema maggioritario, è garanzia di stabilità e quindi di quella risorsa fondamentale per lo sviluppo che è la governabilità di un territorio. Forza Italia sarà al suo fianco in questa nuova fase di governo della Regione per sostenere quella linea riformistica che è alla base del proprio credo politico» dopo la condanna di Cuffaro a 5 anni per favoreggiamento, Agi, 19 gennaio 2008 ), ma per il “terrorismo mediatico” di un giornalista che non fa altro che il suo dovere, cioè denunciare il vero e INFORMARE.

Il regime del piduista e plurimputato mafionano di Arcore è più forte di prima.